
PAT METHENY "ORCHESTRION". L'ALCHIMISTA DEI SUONI
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28/03/2010 | alceste
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[img src=/data/rubriche/6t6afcghnuzfa5wzhc0b1269765090.jpg alt=Immagine>Pat Metheny "Orchestrion"
Teatroteam - Bari, 19 marzo 2010
L'Alchimista dei suoni - Il magico mondo di Metheny
di Alceste Ayroldi
Sorride, felice come un bambino. Guadagna il palco con piede veloce, come chi non vede l'ora di incominciare a giocare. Pat Metheny è in ottima forma fisica, con il volto radioso come da qualche tempo non s'avvertiva. Messo nell'angolo dei ricordi il tour con Meldhau, più da showbusiness che non altro, riacquista la sua identità espressiva, i suoni, le sue fantasie, non più ingabbiate. "Si, sicuramente sono pazzo"! E' questo il motivo per cui ha costruito un concerto sul lavoro di invenzione di Eric Singer, artifex dell'Urban Robot guidato dalla chitarra di Metheny con il sistema Ableton. Ma tale gigionesca follia nasce in età puerile, quando restò stupefatto da un pianoforte automatico, vecchio di cinquant'anni, trovato nel seminterrato della casa del nonno materno (ottimo musicista, tra l'altro). Questo magico strumento non uscì mai dalla vulcanica mente del chitarrista del Missouri e, a distanza di quasi mezzo secolo, la sua idea di "orchestra automatica", si è finalmente materializzata.
Tre brani da solo, con chitarra classica e baritono, prima e la Manzer Pikasso 42 corde, poi. Chitarre che sfilano una ad una, portate con ossequio dalla "sua" Carolyn Chrzan, anche lei entrata nella leggenda immaginifica alla stregua di Metheny. Il "parco" chitarre si è ampliato con anche una chitarra acustica del liutaio sardo Paolo Angeli, dal quale Metheny è affascinato. Attinge anche da Bright Size Life, l'album con cui esordì nel 1976 (al suo fianco Jaco Pastorius e Bob Moses). La Pikasso suona Into The Dream accarezzando il pubblico del TeatroTeam, quasi in religioso silenzio (fa capolino, di sottofondo, la voce dello stupido di turno, ben preparato e desideroso di palesare la sua arroganza inondando il suo amico digiuno, di informazioni pedestri sulla natura della sincretica 42 corde). Nuovo cambio di chitarra e con l'Ibanez parte anche il metronomico incedere di un sonaglio elettronico, luccicante ed ipnotico. Sul riff di So What, il telo viola (sic!) che avvolgeva di mistero lo sfondo, cade per dare vista ad una beckettiana struttura, fatta di componibili scheletrici a giorno, ripieni di ogni ben di dio: rullante, piatti, tamburi, basso, chitarra, campane, bottiglie, gran casse, conchiglie che, come soldatini di latta, iniziano a rumoreggiare ed animarsi sotto gli occhi divertiti del chitarrista. L'applauso di stupore è quasi d'obbligo ed accompagna verso l'esecuzione delle cinque suite che formano Orchestrion, l'album licenziato nel 2010. L'impasto sonoro è quello del PMG, politonale, a tratti travolgente come in Spirit Of The Air, scorrevole e con citazioni autoctone, ed anche in Expansion. Elaborato, con la complicità di vibrafono e marimba, con i battenti mossi dai fantasmini elettronici, in Orchestrion; minimalista, più ricercato in Entry Point. Metheny è visibilmente soddisfatto e divertito e lascia rivolgere al suo mastodontico muro di suoni le ovazioni del pubblico. Ha charme e voglia di baloccarsi con le sue chitarre e le sue anime musicali, pianoforte compreso, al quale si rivolge - di tanto in tanto - per duettare.
Chiuso il capitolo Orchestrion, rilegge il suo passato con la nuova compagnia: Sueno con Mexico, Antonia, Dream Of The Return, tra le altre e tante, per circa due ore e mezza di concerto lì, solo sul palco con i suoi gingilli. Le loop abbondano riportando gli arpeggi e le triadi a base spostata. I cromatismi metheniani ci sono tutti, il decalage, il fraseggio ritmico, gli accordi pentatonici, ed il vertiginoso legato, seppur espressi con una moderata freddezza sonora. Vi è un certo divario acusmatico tra prima e seconda parte. La novità comincia a mostrare la corda e, soprattutto, si avverte l'assenza del calore umano, degli uomini del PMG, della figura di Lyle Mays ovvero - specie in Antonia - della voce di Pedro Aznar. I vecchi brani perdono di lucidità espressiva e di sensibilità metrica.
E' il caso, però, di sgomberare il campo da ogni ragionevole dubbio o malcapitata elucubrazione mentale: Pat Metheny non sperimenta alcunché, non c'è una ricerca diretta. O meglio, vi è una accurata ricerca dei suoni, quasi in re ipsa, ma è soprattutto un divertissement che ha voluto condividere con il suo pubblico che, specialmente a Bari, ha dato prova di essere a lui legato da passione devozionale, seppur più moderata rispetto "ai vecchi tempi".
www.jazzitalia.nethttp://www.jazzitalia.net/iocero/Orchestrion_metheny_bari.asp
Teatroteam - Bari, 19 marzo 2010
L'Alchimista dei suoni - Il magico mondo di Metheny
di Alceste Ayroldi
Sorride, felice come un bambino. Guadagna il palco con piede veloce, come chi non vede l'ora di incominciare a giocare. Pat Metheny è in ottima forma fisica, con il volto radioso come da qualche tempo non s'avvertiva. Messo nell'angolo dei ricordi il tour con Meldhau, più da showbusiness che non altro, riacquista la sua identità espressiva, i suoni, le sue fantasie, non più ingabbiate. "Si, sicuramente sono pazzo"! E' questo il motivo per cui ha costruito un concerto sul lavoro di invenzione di Eric Singer, artifex dell'Urban Robot guidato dalla chitarra di Metheny con il sistema Ableton. Ma tale gigionesca follia nasce in età puerile, quando restò stupefatto da un pianoforte automatico, vecchio di cinquant'anni, trovato nel seminterrato della casa del nonno materno (ottimo musicista, tra l'altro). Questo magico strumento non uscì mai dalla vulcanica mente del chitarrista del Missouri e, a distanza di quasi mezzo secolo, la sua idea di "orchestra automatica", si è finalmente materializzata.
Tre brani da solo, con chitarra classica e baritono, prima e la Manzer Pikasso 42 corde, poi. Chitarre che sfilano una ad una, portate con ossequio dalla "sua" Carolyn Chrzan, anche lei entrata nella leggenda immaginifica alla stregua di Metheny. Il "parco" chitarre si è ampliato con anche una chitarra acustica del liutaio sardo Paolo Angeli, dal quale Metheny è affascinato. Attinge anche da Bright Size Life, l'album con cui esordì nel 1976 (al suo fianco Jaco Pastorius e Bob Moses). La Pikasso suona Into The Dream accarezzando il pubblico del TeatroTeam, quasi in religioso silenzio (fa capolino, di sottofondo, la voce dello stupido di turno, ben preparato e desideroso di palesare la sua arroganza inondando il suo amico digiuno, di informazioni pedestri sulla natura della sincretica 42 corde). Nuovo cambio di chitarra e con l'Ibanez parte anche il metronomico incedere di un sonaglio elettronico, luccicante ed ipnotico. Sul riff di So What, il telo viola (sic!) che avvolgeva di mistero lo sfondo, cade per dare vista ad una beckettiana struttura, fatta di componibili scheletrici a giorno, ripieni di ogni ben di dio: rullante, piatti, tamburi, basso, chitarra, campane, bottiglie, gran casse, conchiglie che, come soldatini di latta, iniziano a rumoreggiare ed animarsi sotto gli occhi divertiti del chitarrista. L'applauso di stupore è quasi d'obbligo ed accompagna verso l'esecuzione delle cinque suite che formano Orchestrion, l'album licenziato nel 2010. L'impasto sonoro è quello del PMG, politonale, a tratti travolgente come in Spirit Of The Air, scorrevole e con citazioni autoctone, ed anche in Expansion. Elaborato, con la complicità di vibrafono e marimba, con i battenti mossi dai fantasmini elettronici, in Orchestrion; minimalista, più ricercato in Entry Point. Metheny è visibilmente soddisfatto e divertito e lascia rivolgere al suo mastodontico muro di suoni le ovazioni del pubblico. Ha charme e voglia di baloccarsi con le sue chitarre e le sue anime musicali, pianoforte compreso, al quale si rivolge - di tanto in tanto - per duettare.
Chiuso il capitolo Orchestrion, rilegge il suo passato con la nuova compagnia: Sueno con Mexico, Antonia, Dream Of The Return, tra le altre e tante, per circa due ore e mezza di concerto lì, solo sul palco con i suoi gingilli. Le loop abbondano riportando gli arpeggi e le triadi a base spostata. I cromatismi metheniani ci sono tutti, il decalage, il fraseggio ritmico, gli accordi pentatonici, ed il vertiginoso legato, seppur espressi con una moderata freddezza sonora. Vi è un certo divario acusmatico tra prima e seconda parte. La novità comincia a mostrare la corda e, soprattutto, si avverte l'assenza del calore umano, degli uomini del PMG, della figura di Lyle Mays ovvero - specie in Antonia - della voce di Pedro Aznar. I vecchi brani perdono di lucidità espressiva e di sensibilità metrica.
E' il caso, però, di sgomberare il campo da ogni ragionevole dubbio o malcapitata elucubrazione mentale: Pat Metheny non sperimenta alcunché, non c'è una ricerca diretta. O meglio, vi è una accurata ricerca dei suoni, quasi in re ipsa, ma è soprattutto un divertissement che ha voluto condividere con il suo pubblico che, specialmente a Bari, ha dato prova di essere a lui legato da passione devozionale, seppur più moderata rispetto "ai vecchi tempi".
www.jazzitalia.nethttp://www.jazzitalia.net/iocero/Orchestrion_metheny_bari.asp
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