INTERVISTA A STEFANO BOLLANI

INTERVISTA A STEFANO BOLLANI

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In occasione della presentazione del bello quanto particolare progetto che ha visto fondersi l'ironia letteraria di David Riondino con quella musicale di Bollani, dal titolo "Cantata dei pastori immobili. Racconto di un presepe vivente", abbiamo avuto modo di incontrare, seppur fugacemente, il pianista toscano per scambiare due chiacchiere.
A.A.: Come nasce questo progetto con David Riondino?
S.B.: Nasce da una committenza del comune di Prato del dicembre 2002 che aveva chiesto a me uno spettacolo natalizio. Da tempo con David pensavo a questa short opera e cioè l'idea di musicare argomenti di attualità, o comunque di musicare qualche cosa per cantante, voce recitante e pianoforte. Mi è sembrata l'occasione giusta, ispirato dal fatto che la prima sarebbe caduta in dicembre, di musicare un presepe. E quindi da lì è nata l'avventura ed ogni anno a Natale riproponiamo lo spettacolo. Questo anno, veramente, faremo una vera e propria tournèe di una dozzina di date tra cui quella all'Auditorium di Roma e nel frattempo abbiamo deciso di pubblicare il lavoro. David ha scritto un libro che, in realtà, ha allargato il tema e nel disco ci sono le canzoni e le musiche dello spettacolo.
A.A.: Tu non sei nuovo a queste performances letterarie, come il tuo lavoro "La gnosi delle Fanfole". Ci sarà un prosieguo a questa tua attività letteraria?
S.B.: Ma guarda, dopo aver lavorato con Riondino... (David Riondino era presente e guardava "minaccioso" Bollani). In realtà l'idea è di continuare. Nel senso che, siccome lui (Riondino, ndr) guarda molto al futuro, questo era solo un inizio di una specie di tetralogia. Al momento non abbiamo iniziato ancora a scrivere la seconda opera, ma può darsi che in effetti lo faremo. Indipendentemente da questo, a me piace sempre lavorare con cose che hanno ispirazione anche vaga ed a volte letteraria, come nel disco che ho dedicato ad un romanzo di Raymond Quenau. Per cui presumo che accadrà anche in futuro.
A.A.: Secondo te, la musica è surreale o il surreale è musica?
S.B.: Indipendentemente dalla musica, è il mondo che è surreale. E qualcuno cerca sempre di farcelo diventare sempre molto reale, molto palpabile. Soprattutto oggi che ci sembra tutto facilmente raggiungibile con la comunicazione. Sembra sempre di sapere tutto, invece sappiamo sempre molto meno di ciò che pensiamo e crediamo di dover riportare tutto a fatti nudi e crudi come a dei titoli di giornali. Invece, la realtà è molto più complessa e per l'appunto, a volte, non è neppure reale.
A.A.: Ti sei occupato di Renato Carosone, ispirandoti alla canzone "Tu vuò fa l'americano". Tu hai anche vinto il premio Carosone, solitamente dedicato ai cantanti, c'è qualcosa che ti lega al maestro partenopeo?
S.B.: Sì, il libro è una mia breve disquisizione sulla famosissima canzone del Maestro Carosone partendo da altre situazioni per poi arrivare alla canzone. Anche perché mi sento molto legato a lui. E' stato il mio primo amore. Quando l'ho ascoltato per la prima volta avevo dodici anni e se sono arrivato al jazz è stato grazie a lui.
A.A.: E cosa ti lega alla tecnica pianistica di Carosone?
S.B.: Non saprei. Sicuramente un comune amore per il ragtime e per i pianisti jazz degli anni trenta che sono stati il primo amore suo e, sicuramente, il primo mio amore.
A.A.: Cosa preferisci maggiormente: la solitudine esecutiva di "Smat Smat" o il poliedrico ensemble di "Concertone"?
S.B.: Tutte e due. Preferisco vivere ogni giorno, ogni sera una situazione diversa. Se tu mi dicessi di dover vivere esclusivamente di pianoforte "solo", patirei molto. D'altro canto i due lavori sono praticamente nati insieme. Concertone è, comunque, un'idea che covavo già da tempo.
A.A.: Con chi ti piacerebbe suonare "domani"?
S.B.: (Risponde ridendo) Con Riondino a Napoli, a La Feltrinelli (è il prossimo appuntamento di presentazione del lavoro). Non lo so. Non ho sogni nel cassetto. Mi diverto molto a fare ciò che faccio, generalmente. Mi piace molto il presente, penso più a quelle persone con cui sto suonando oggi. So per esempio che "domani" dovrò fare un progetto per il Festival Suoni delle Dolomiti in cui ho coinvolto dieci musicisti ed ho scritto tutte le musiche. Ci sono alcuni musicisti che mi piacciono di più e tra le cantanti anche Petra Magoni e Monica Demuru, che sono presenti anche in questo progetto con Riondino, e che reputo tra le voci più belle del panorama attuale.
A.A.: Cosa ne pensi dell'attuale scenario jazz europeo e, in particolare, di quello italiano?
S.B.: Ci sono moltissimi artisti che mi colpiscono. I primi nomi che mi vengono in mente sono Jango Bates in Inghilterra, mentre in Francia, restando in tema di pianisti, è solo un caso che mi vengono in mente i pianisti (lo afferma ridendo, ndr) c'è Carlos Maza (anche se di origini cilene). In Danimarca, dove vado spesso, c'è una impressionante quantità di musicisti che noi non conosciamo, così come in Svezia. Tra cui un pianista, che non è sicuramente un giovane. Si chiama Lars Janson e in Svezia è acclamatissimo. Da noi ha suonato solo una volta a Roma tanti anni fa. E' veramente eccezionale: potrebbe essere un caposcuola europeo mentre è un caposcuola solo per il jazz scandinavo e basta. C'è ancora un difetto d'informazione. In Italia, ad esempio, noi raramente ascoltiamo musicisti europei che non siano italiani. A me fa piacere perché sono un musicista italiano e suono parecchio. Ma purtroppo, tutti questi musicisti del nord europa, ma anche della Francia ed Inghilterra come menzionavo, non essendo conosciuti non vengono coinvolti in rassegne italiane. Quando vengono a suonare in Italia fanno sempre "notizia", nel senso che la loro presenza colpisce perché è un evento eccezionale. Mentre gli italiani, non tutti, diciamo dieci, dodici, vanno in giro per tutta Europa. Forse, in questo momento, sono i musicisti italiani quelli che più si sentono in Europa.
A.A.: C'è qualcuno che vorresti ringraziare?
S.B.: Una persona che penso tutti i giorni è sicuramente Enrico Rava. E' la persona con cui ho fatto un salto di qualità musicale anche di qualità nel lavoro.
A.A.: Dalla musica pop al jazz: c'è la possibilità che tu possa ripetere all'inverso il passaggio?
S.B.: Come ti ho già detto non penso molto al futuro. Nella vita non si sa mai...Per adesso c'è il mio quintetto tutto italiano per il quale ho scritto della musica appositamente. Poi c'è Riondino...che assorbe tanto tempo.
La short (anzi smat smat) intervista con Bollani si chiude proprio per l'incalzar di Riondino che lo reclama a gran voce.
Lo spettacolo/presentazione si lascia bere tutto d'un fiato. La libreria La Feltrinelli è stracolma: i due autori hanno attirato l'attenzione del grande pubblico attento sia alle proposte letterarie che, sempre di più, si associano, anzi si fondono, con la musica di qualità.
I due non si risparmiano e dialogano continuamente tra loro ed interagendo con il pubblico. I passi recitati magistralmente da Riondino, particolarmente ispirato, sono sorretti non solo dalle semplici armonie percussive di Bollani, ma anche dalla sua "vis comica", che si ben si fonde con quella duramente ironica dello scrittore.
Il racconto musicato prende a pretesto il presepe per mettere in scena proprio l'immobilità, quella che coglie i pastori in adorazione del bambino nella grotta. Si passa rapidamente dal dialogo surreale tra i pastori al racconto del narratore suggellato dalle note di Bollani. E' un racconto stralunato e senza tempo che alterna ai pastori alcuni personaggi tratti direttamente dal nostro presente (politici e non). Tante storie ricche di colpi di scena.
Il presepe di Riondino e Bollani è "tristemente allegro" ed i due "pastori" sono i giusti cantori di una realtà non sempre rosea, come l'aria natalizia vorrebbe far apparire.
Alceste Ayroldi
per Jazzitalia
www.jazzitalia.net
aayroldi@jazzitalia.net
aayroldi@aliceposta.it
Fonte:

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