UNA: l'autenticitA' E' il potere piU' grande di un artista

UNA: l'autenticitA' E' il potere piU' grande di un artista

E' partito da Bologna, città che l'ha vista affermarsi artisticamente, il tour 2014 di UNA (Marzia Stano), la cantautrice pugliese che presenta live i brani tratti da "Come in cielo così in terra", il suo nuovo album pubblicato lo scorso 23 settembre per MArteLabel e con il sostegno di Puglia Sounds Record.
Per lei, a poco più di un anno dal debutto solista con "Una Nessuna Centomila", sarà l'occasione per presentare brani tratti dal suo nuovo progetto discografico, "Come in cielo così in terra".
Dopo un fortunato tour europeo che l'ha vista il 16 ottobre al MondoLibro di Berlino, il 17 ottobre alla Piola Libri di Bruxelles, il 18 ottobre al Ciao Gnari di Parigi e il 19 ottobre all'Altrimenti di Lussemburgo, e dopo le fortunate tappe italiane al Medimex di Bari (1 novembre) e al Locomotiv Club di Bologna (4 novembre), UNA si appresta a continuare una serie di concerti sparsi in tutta Italia.
Nightguide ha scambiato qualche battuta con Marzia dopo il live al Coffee And Cigarettes di Lecce, e in quell'occasione ne ha conosciuto la grinta, la determinazione, ma soprattutto la grande voglia di raccontare grazie alla musica tutti i suoi mondi.


NG: Marzia Stano, in arte UNA. Una che fa scelte di carattere, considerati anche i titoli dei tuoi singoli. A cosa miri oltre che a una provocazione abbastanza evidente?

U: Diciamo che per la prima volta ho voluto essere molto diretta, non nascondermi dietro il gioco della metafora e chiamare le cose con il loro nome. Quindi così come ho fatto per “Sotto il cielo dell'Ilva”, utilizzando una parola forte, perché comunque cito uno dei più gravi problemi nella storia della Puglia, l'ho voluto fare anche per “Scopamici” e non c'è assolutamente differenza. Mi piace semplicemente chiamare le cose con il loro nome.



NG: Scanzonata e irriverente ma anche impegnata, sia con “Missione e sottomissione” o con “Sotto il cielo dell'Ilva” o con la scelta di coverizzare “Il lavoro” di Piero Ciampi. La “scorza ironica” ti è servita da trampolino di lancio?

U: Si tratta semplicemente della mia doppia natura. In realtà dietro il nome UNA c'è la ferma volontà di voler circoscrivere in un'identità unica il nucleo, le mille personalità che colorano in qualche modo la mia esistenza. C'è ironia, come c'è la voglia di affrontare temi delicati, la voglia di non pensare - di lasciarsi andare - di divertirsi, come in ognuno di noi. La differenza è che io cerco di mettere in musica tutto quello che ci attraversa.

NG: Omosessualità, violenza sulle donne. Sembra che l'Italia si stia svegliando ora nell'affrontare argomenti “vecchi” di anni. La musica può aiutare? Qual è il tuo punto di vista?

La musica ha il dovere di essere sempre autentica ed arrivare al succo delle cose. La cultura in generale ha un grosso ruolo, in Italia più che la politica, che oggi non solo non è più un punto di riferimento né dei movimenti né delle speranze che i giovani riservano al cambiamento. E questo cambiamento secondo me può partire dal basso, dalla nostra coscienza e dalla nostra volontà di cambiare le cose. Non è un'utopia, è successo, succede. Negli stati democratici e civili succede che la gente quando è stanca marcia di qualcosa che soffoca l'euforia, le speranze e la progettualità scenda in campo, non voglio dire in piazza perché forse non credo più nell'arma della “manifestazione” vecchio stile, però deve trovare una maniera per farsi sentire. Avere innanzitutto un consumo critico, scegliere che tipo di consumatori dobbiamo essere, decidendo anche di orientare il consumo di cultura su un atteggiamento critico, orientando il nostro tempo non verso programmi spazzatura ma verso prodotti di spessore. Quella è già un'azione politica, ed è quel tipo di azione che può fare la gente. Il nostro dovere come artisti è quello di essere autentici e portare sempre dei contenuti.

NG: Sempre parlando di omosessualitá, notiamo come a volte i cantanti uomini sembrano usarla per dare risonanza al pezzo in se o alla propria carriera, perché in un paese bigotto ma scandalistico/gossipparo la prima cosa che ci si domanda è se il cantante sia o meno gay. E così il messaggio sociale del testo, quando mai davvero ci sia, si va a perdere. La tua scelta in “Mario ti Amo” di cantare un amore omo maschile invece di uno lesbico me la fa sembrare più sincera e naturale. Quasi come se parlasse di due suoi amici. Che ne pensi?

U: Io parlo di storie. Non ho questo tipo di visione, e anche tanti altri cantautori, scrittori, poeti non hanno l'idea del “che cosa può succedere dopo?”. Si sente l'urgenza di raccontare delle cose. In “Scopamici” per esempio i protagonisti sono un uomo e una donna, potrebbero anche non esserlo, ma lo sono. Nella mia volontà di raccontare una storia, che è tra l'altro il racconto di una mia carissima amica sviscerato un pomeriggio nei dettagli - c'era tutto, c'era Dexter, c'erano i film che andavano a vedere al cinema - ho realizzato una piccola cronaca giornalistica di quello che era il suo vissuto. E non mi fermo a chiedermi “Ma quindi se parlo di una storia etero la gente si chiede se io sono eterosessuale?”, quindi non dovrebbe essere neanche il contrario.



NG: Leghi molto l'arte alla musica, e si vede anche dall'ultimo video, “Mario Ti Amo”, non a caso candidato al Pivi per la sua fotografia. Gli studi artistici come si sono conciliati con la tua scelta di intraprendere la strada della musica?

U: non sono mai passata da una cosa all'altra. Entrambi questi elementi convivono dentro di me. Ho frequentato l'accademia di Belle Arti e il Dams in Cinema, mio padre è un artista, disegnatore, designer e un musicista e ti potrei citare molti altri artisti che allo stesso modo erano musicisti. Si tratta di due linguaggi molto diversi: uno è un linguaggio prettamente visivo mentre l'altro è narrativo, verbale, forse anche più immediato perché la musica può arrivare a molte persone. A volte l'arte e la letteratura sono forme di linguaggio più introverse in cui mi chiudo in una stanza e non ho contatti con l'esterno, se non con il mio mondo. Con la musica invece sono a contatto con le persone, amo comunicare, amo coinvolgere il pubblico e far in modo che valichino la famosa quarta parete per far diventare il pubblico protagonista a sua volta del concerto. Anche qui abbiamo due personalità opposte che convivono in una sola.

NG: La maschera, l'apparente privazione dell'identità sono un tema ricorrente nel nome, nei testi e nei video di Una. Ci racconti questo aspetto del “nascondersi”?

U: Ho trovato in una frase di Oscar Wilde forse la chiave di lettura di questo aspetto: “Date una maschera ad una donna e vi dirà chi è”. La mia maschera non è una maschera che cela qualcosa ma che serve a rivelarla. Ho trovato un senso a questo gioco del mascherarsi proprio nell'esternare quello che si è veramente.
“Una” è una maschera. Potevo tranquillamente usare il mio nome e cognome reali, per quanto Marzia Stano mi piaccia molto. Ma avevo voglia di scegliermelo, volevo battezzare qualcosa di mio che fosse la mia nuova identità in qualche maniera. Una scelta generalista sì, ma molto impertinente. Come dicevamo all'inizio è una scelta provocatoria, perché può essere “Una” tra tante o anche “Una” e sola. Dipende dalla chiave di lettura, e mi piace che gli altri la interpretino un po' come gli pare, in base a come si sente.

NG: La tua musica è puro cantautorato (“Non è colpa delle rose” potrebbe averla scritta De Andrè, per esempio). Immagino ispirazioni celebri italiane. Dall'estero cosa prendi, invece?

U: L'estero è stata un'esperienza incantevole, vuoi perché quando sono andata a presentare “Una, nessuna e centomila” a Miami con Subsonica, Mannarino e Negrita è stata la prima volta nella mia vita in cui mi sono ritrovata a cantare di fronte a un pubblico di cubani, ispanici, yankies americani è stato pazzesco. Alcuni, soprattutto chi aveva una cultura più latina, coglievano il senso delle canzoni, ma la cosa che mi ha affascinato e che poi ho ritrovato anche a Parigi, Berlino e Bruxelles è stata quella di scoprire che la musica è un meta linguaggio che a volte va oltre il significato più denotativo del termine, ma attraverso i sentimenti e l'empatia con il pubblico ti fa comunicare in una lingua completamente diversa dalla tua. La musica ha questo potere.

NG: Dopo l'esperienza del Festival HIT WEEK, lo Sziget013 e il minitour europeo che l'ha vista suonare in Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo, UNA parte per il suo tour italiano. Qual è stata l'esperienza più bella fuori confine?

U: Anche quella dello Sziget è stata un'esperienza forte, perché è uno dei festival più belli d'Europa, organizzato benissimo. Essere stata ospitata come italiana in quel contesto è stato lusinghiero e anche molto importante per la mia crescita perché ho avuto modo di confrontarmi con artisti di grande leva. Anche Miami è stata memorabile perché è stata la mia prima volta fuori dall'Europa quindi subentra un discorso esperienziale che crea un bellissimo ricordo. In particolar modo, però, una delle esperienze più belle della mia carriera è stata la presentazione di “Una, nessuna, centomila” a Parigi. Un pubblico attentissimo, educato, super curioso. C'era molto pubblico francese che accompagnava amici italiani, e una cosa che mi ha colpito è stato l'interesse verso alcune figure retoriche dei miei testi, che notavo dal palco si facevano tradurre durante l'ascolto. L'accoglienza è stata fantastica, anche grazie alla presenza di giornalisti del posto che, nonostante io sia una perfetta sconosciuta - non stavano intervistando Mina o Elisa a Parigi - avevano molta attenzione e molto rispetto. E questo spesso in Italia non succede, perché se sei un artista emergente, sconosciuto, la gente ha sempre un atteggiamento diffidente, snob. Invece lì c'è una forte curiosità senza preclusione alcuna.

NG: Invece dell'Italia, cosa ti è rimasto?

U: In Italia ogni luogo ha una sua caratteristica, da Milano a Lecce è sempre importante attraversare i palchi nel migliore degli spiriti. Spesso ci si trova davanti a situazioni non proprio professionali a livello di organizzazione tecnica del locale. Abbiamo poi delle leggi troppo severe rispetto alla Siae e rispetto i volumi. Abbiamo, a volte, delle difficoltà di gestione dovuti a costi molto alti che purtroppo inibiscono molto lo sviluppo della musica live. Però è la cosa fondamentale adesso, perché i dischi si vendono sempre meno e perché a me piace vivere la dimensione live, mi viene sempre meglio il live che il disco!

NG: Il grande classico: nuovi progetti?

U: Ti posso raccontare i miei progetti per il passato. Non puoi fare questa domanda a chi scrive un brano come “Qui e ora”!
Non si sa, chi vuole saperlo mi dovrà seguire!

UNA sul web: www.marziastano.it  

Una su Facebook: www.facebook.com/UNA.marziastano?fref=ts

Intervista a cura di Angela De Simone

Foto Credits: Simone Muscogiuri

QUI la gallery completa del live di UNA dell'11 dicembre a Lecce.

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